

Mario D’Urso, siciliano d’origine, trovò nel cielo la sua vera vocazione.
Durante la Grande Guerra lasciò la fanteria, dove serviva come caporal maggiore, per diventare pilota. Fin dai primi voli si distinse per un talento naturale nelle manovre acrobatiche: una grazia e una dolcezza che colpivano persino i suoi compagni e avversari. Non a caso, anni più tardi, il Generale Plinio Locatelli lo ricordò con parole che ne fissano l’eredità:
«Così Mario D’Urso, un pilota senza l’aureola dell’eroe, senza la qualifica di asso, inconsapevolmente divenne il precursore del volo acrobatico. Anche in combattimento volava con una dolcezza da lasciare incantati gli stessi altri piloti, nemici e amici».
Assegnato dapprima all’82ª Squadriglia, con il grado di sergente, D’Urso volò su un Macchi Hanriot HD.1 e prese parte alla celebre "Battaglia aerea d'Istrana" del 26 dicembre 1917, abbattendo un bombardiere DFW nemico.
Poco dopo, con la riorganizzazione dei reparti, fu trasferito alla 91ª Squadriglia e giunse l’11 marzo 1918 al nuovo campo di volo di Quinto. Qui passò agli Spad XIII, volando come gregario accanto ai grandi nomi dell’aviazione italiana. Il 22 maggio dello stesso anno fu di sostegno a Francesco Baracca durante la missione sul Piave che gli valse la sua 32ª vittoria. Nel corso del conflitto, D’Urso abbatté due velivoli nemici, confermando la sua abilità e il suo coraggio.
Terminata la guerra, non abbandonò il cielo.
Nel 1919 aderì alla Società di Propaganda per lo Sviluppo dell’Aviazione Civile Italiana, fondata da Luigi Mancini insieme all’asso Flavio Torello Baracchini e ad altri veterani. Dal campo di Centocelle, l’impresa si proponeva di diffondere la cultura del volo civile: scuole di pilotaggio, trasporti, turismo aereo, voli di piacere e persino fotografia e cinematografia aerea. D’Urso vi partecipò con entusiasmo, incarnando lo spirito pionieristico di un’Italia che guardava al futuro attraverso le ali degli aeroplani.
Il 23 giugno 1922 prese parte al celebre raid Roma–Costantinopoli, con il ruolo di “battitore”, incaricato di individuare i possibili spazi di atterraggio lungo la rotta.
Giunti a destinazione, il 16 luglio, fu organizzata una manifestazione aerea per celebrare l’impresa. Ma il destino, che lo aveva sempre legato al volo, lo attese proprio in quell’occasione: un guasto al velivolo lo costrinse a un atterraggio d’emergenza nei pressi di Sofia.
L’avaria rese impossibile governare la discesa e l’impatto fu violentissimo. Mario D’Urso riportò ferite gravissime e si spense poche ore dopo.
Così, il 16 luglio 1922, la passione che aveva guidato tutta la sua vita si trasformò in epilogo.
Rimane il ricordo di un giovane siciliano che, senza clamore, seppe incarnare la poesia del volo e aprire la strada all’acrobazia aerea, lasciando dietro di sé un’eredità di grazia e coraggio.

Riproduzione dei velivoli pilotati dal Sergente D'URSO:
a sinistra il Macchi Hanriot HD.1 dell'a 82ª Squadriglia (1917)
a destra lo SPAD XIII della 91ª Squadriglia (1918)
Torna a: La 91ª Squadriglia
